Lo shock per l’economia mondiale causato dall’emergenza sanitaria di Covid-19 è stato pesante in misura di quanto oggi i vari sistemi economici nazionali siano interdipendenti tra di loro. Se chiudere le frontiere e applicare le restrizioni commerciali è stata una prima risposta alla pandemia, si è presto rivelata una soluzione non praticabile. Non quanto agire in modo coordinato, bilanciando le esigenze e le capacità di produzione dei singoli Paesi. Il calo del commercio è stato inevitabile, visto che le aree più colpite sono state proprio quelle al centro del mercato globale: Cina, Unione Europea e Stati Uniti. Queste tre macroaree generano più della metà di tutto il tessuto commerciale mondiale; pertanto il rallentamento si è fatto sentire ovunque. È importante ricordare però che queste catene di produzione, sebbene abbiano reso più interdipendenti le diverse economie, hanno generato importanti elementi di efficienza in moltissimi settori e reso disponibili beni a prezzi che hanno favorito la diffusione di massa. Non parliamo solo di “food & beverage”, ma di tutti quei prodotti la cui autosufficienza oggi è resa possibile dall’attuazione di una costante resilienza delle catene di approvvigionamento. 

Nelle attività di pianificazione delle catene di approvvigionamento, la previsione della domanda tradizionale si basa sulla cronologia delle vendite precedenti. Come è evidente, simili statistiche, riferite al passato, possono essere un cattivo indicatore delle vendite future, considerando eventi del mondo reale come bruschi cambiamenti del mercato, catastrofi climatiche, naturali o sanitarie. Quanto si sia estesa la crisi da Covid-19 è ben evidente da alcuni dati che mostrano il numero di siti di industrie chiuse in alcune zone del mondo (tra cui l’Italia) e gli articoli acquistati nello stesso periodo di chiusura provenienti dalla Cina, con Wuhan come prima grande regione al mondo ad essere messa in quarantena. Dopo il terremoto e lo tsunami del marzo 2011 a Fukushima, molte multinazionali hanno imparato a diversificare le proprie forniture, da più paesi oltre che dal solo Giappone (soprattutto per manodopera hi-tech) ed oggi lo stesso accade per le compagnie che si basano, quasi esclusivamente, su una supply chain cinese. In che modo adottare una maggiore resilienza dei sistemi? 

«Emergerà la necessità di autosufficienza, in particolare per quanto riguarda cibo, energia e prodotti. Le catene di approvvigionamento globali noteranno che le fabbriche cinesi non le stanno riempiendo. La vulnerabilità a questo singolo punto di errore diventerà sempre più evidente. La nostra produzione globalizzata è dipendente da un grande super nodo piuttosto che essere in rete, decentralizzata e resiliente. L’agricoltura verticale potrebbe consentire un qualche tipo di sostenibilità alimentare a livello di comunità o città visto che, allo stato attuale, le aziende agricole verticali idroponiche avanzate utilizzano meno risorse idriche e hanno necessità di trasporto inferiori rispetto alle colture tradizionali. La produzione locale sarà sempre più importante: data la natura specialistica dei prodotti, la stampa 3D diventerà sempre più matura».
«La crisi del Covid-19 ha avvantaggiato le multinazionali, che si sono potute permettere di rimodulare la propria attività produttiva in funzione delle misure adottate nelle giurisdizioni in cui operano. Quest’esperienza potrebbe quindi indurre le imprese ad adottare un approccio più “antifragile” alla gestione dei rischi, per non rimanere più in “ostaggio” di un solo paese».
Matteo Bonelli, Avvocato

Ad esempio con le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale e l’elaborazione in linguaggio naturale, che permettono di monitorare la situazione delle forniture in base a come cambiano gli indici di accessibilità all’estero. Difficile credere che una compagnia possa gestire nel 2020 una catena di fornitura dispersa a livello globale, senza essere a conoscenza di come avvenimenti più o meno prevedibili potrebbero causarne interruzioni. Naturalmente, ci sono costi associati all’essere proattivi in ​​questo modo. C’è l’approvvigionamento multiplo, che richiede l’attivazione di fornitori e siti qualificati in diversi paesi. Ma una spesa del genere può essere compensata riducendo la quota di attività allocata alla nazione più costosa. I vantaggi di spostare rapidamente la produzione tra fornitori, fabbriche e paesi fornisce, in genere, un ampio ritorno sugli investimenti, anche a fronte di una ridotta dipendenza dall’inventario, da processi manuali e da un grande numero di persone. 

Una catena di approvvigionamento veloce, reattiva e agile, rimane operativa, nonostante ciò che può accadere di giorno in giorno. Nelle prime settimane di gennaio 2020, le aziende che avevano mappato la loro catena di approvvigionamento sapevano già quali parti e materie prime erano originarie delle aree di Wuhan e Hubei e, di conseguenza, hanno potuto adottare soluzioni palliative in un tempo relativamente breve. L’epidemia ha insegnato che un solido sistema di monitoraggio dei fornitori è un requisito fondamentale per l’ottimizzazione della supply chain.

 

La supply chain tra intelligenza artificiale e riduzione delle emissioni

Intelligenza artificiale, machine e deep learning fanno oramai parte dei sistemi di pianificazione delle catene di approvvigionamento di tutto il mondo. Il decennio post-Coronavirus ha visto l’adozione su larga scala di tecnologie avanzate che mappino, in maniera costante e in tempo reale, il rischio che risiede nelle nazioni in cui ogni compagnia ha i propri fornitori, con un certo tasso di mutamento periodico. Al fianco di ciò, la collaborazione e la condivisione dei dati hanno rapidamente eliminato gli scarti della supply chain. Dieci anni fa, i grandi gruppi non avrebbero mai pensato di poter condividere informazioni sensibilmente critiche con i fornitori, che hanno accordi anche con i loro competitor. Adesso invece lo fanno su internet e, come un risultato, i fornitori stessi sono in grado di monitorare la presenza dei prodotti nei magazzini, da una posizione privilegiata che, assieme alle tecnologie predittivi e all’Internet delle Cose, consente di programmare al meglio il lavoro. Oltre a ciò, un consolidamento della blockchain ha permesso di ottenere informazioni accurate e aggiornate in ogni momento, garantendo la visibilità del dato per tutte le parti interessate. Nel 2023 si è capovolto quanto gli analisti avevano predetto qualche anno prima, e cioè che il 90% delle iniziative relative alla catena di approvvigionamento legate alla blockchain non avrebbero raggiunto una finalizzazione. 

La rete di supply chain ha invece saputo cogliere il valore che la tecnologia ha messo in campo, dando un vantaggio competitivo importante rispetto a chi ha preferito farne a meno. Infine, per prepararsi al mutevole cambiamento climatico globale, le aziende hanno cominciato a considerare già dal 2021 come integrare nei loro sistemi, modelli di pianificazione flessibili della catena di approvvigionamento, cercando materiali e risorse alternative ove necessario. Questo ha voluto dire rispondere in maniera puntuale alle richieste di minor impatto ambientale, favorendo partnership con fornitori dalle competenze tecniche e gestionali volte a intraprendere economie  a basse emissioni di carbonio. I due paesi che più hanno beneficiato da tali programmi sono stati la Cina e l’India, che dopo la crisi del Covid-19 hanno incrementato il loro impegno verso catene di approvvigionamento intelligenti dal punto di vista ambientale. In tutti i settori, strategie di pianificazione  smart per il clima sono diventate una parte fondamentale delle logiche di supply chain a fine 2025.

«Il modello di produzione industriale fisica vedrà un processo di automazione molto più spinto e la concentrazione della produzione fisica in spazi enormi a basso costo del terreno che consentano la turnazione (anche dei trasporti) e la distanziazione. Fine del modello della concentrazione in distretti delle piccole e medie imprese».
Roberto Costantini, Manager e scrittore
«Cambieranno profondamente le scelte di politica industriale delle imprese. Assisteremo a una drastica riduzione dei movimenti intercontinentali delle persone, non necessariamente delle merci. Così come assisteremo alla ricostruzione di filiere industriali su settori strategici che aumenteranno il livello di autonomia domestica (per domestico intendo infra-regionale, quindi Europa, Nord America, Cina, Asean, ecc.)».
Valerio De Molli, Imprenditore e Manager.