Smart working è senza dubbio una delle parole chiave del 2020. Le misure globali di distanziamento sociale, parte delle attività di riduzione del contagio da Covid-19, hanno accelerato l’adozione di strumenti di lavoro da remoto. Ma una nuova organizzazione, basata su flussi di dematerializzazione e abbandono di una logica lavorativa oraria, a favore del conseguimento del risultato, predilige un cambiamento non solo nella forma e nella modalità, quanto negli obiettivi e negli strumenti atti a raggiungerli.

La tendenza del rimanere a casa per svolgere mansioni professionali non si ridurrà nel breve. Solo in Italia, il ricorso a tale modalità lavorativa coinvolgeva, a fine 2019, oltre mezzo milione di persone, con un aumento in media del 20% rispetto all’anno prima. Dopo il primo decreto del 23 febbraio per contrastare l’epidemia di Coronavirus, il numero dei lavoratori agili in Italia ha superato il milione, ma i potenziali lavoratori che dopo tre mesi di lockdown hanno lavorato da casa si stima si possano essere arrivati a otto milioni. Il trend verso un consolidamento dello smart working porterà a cambiamenti evidenti negli stili di vita, così come nell’idea stessa di intendere la casa e l’ufficio.

«Le abitazioni diventeranno anche luogo di lavoro e le imprese dovranno indennizzare in qualche modo i lavoratori che si presteranno allo smart working. Le imprese vedranno ridotte le capacità produttive per permettere i distanziamenti, e si lanceranno in un processo spinto di robotizzazione e di uso dell’intelligenza artificiale per recuperare capacità con meno personale. C’è il rischio che cresca la disoccupazione? Si»
Innocenzo Cipolletta, Manager ed Economista

Del resto, il Covid-19 sta creando il più grande esperimento di lavoro a distanza del mondo. In Cina, Tencent ha invitato la quasi totalità dei professionisti a lavorare da casa e così ha fatto Twitter, negli Stati Uniti, affermando che nulla sarà più come prima, ossia nessuno sarà più obbligato a tornare in ufficio, se sarà in grado di portare a termine i task assegnati anche altrove. Enti e associazioni, scuole e centri di formazione, banche e istituti creditizi oramai da mesi intrattengono rapporti con il pubblico esclusivamente in remoto, in un certo senso facendosi portatori del verbo della remotizzazione delle attività, rendendole maggiormente usuali che in passato. Torneremo prima o poi alla “normalità”? La nuova normalità sarà questa. 

«Nonostante 40 anni di seminari, convegni e interventi legislativi, al primo gennaio 2020 solo 750 mila lavoratori operavano in smart working, su 14 milioni di potenziali tali. Sotto la sferza del Coronavirus, in sole quattro settimane la cifra è schizzata a 8 milioni. È molto probabile che, passata la pandemia, molte aziende continueranno ad adottare il lavoro agile per non perderne i vantaggi ormai sperimentati dalle società stesse, dai loro dipendenti e dal territorio su cui operano»
Domenico De Masi, Sociologo e Professore

Il passaggio da lavoro in remoto a vero smart working avverrà gradualmente ma sarà una conseguenza logica della linea di adozione che vediamo oggi. Interazione e produttività saranno strettamente correlati ad un utilizzo di tecnologie software votate alla condivisione e alla collaborazione. Lo sviluppo di meccanismi di smart working si avranno con un minore bisogno di concentrazione delle persone negli uffici, i cui spazi andranno ripensati in una logica di accesso aperta e dinamica. 

«Tra vincoli di riapertura e ricerca di efficienza aziendale, le forme di organizzazione del lavoro, adottate in modo estemporaneo nei giorni della clausura, saranno portate a sistema, con impatti importanti su tutti gli aspetti, dai processi e alle strutture organizzative, dalle forme di incentivo e controllo alla rappresentanza sindacale e interventi di formazione»
Francesco Caio, Manager

Forte è il consenso di chi assume che, grazie al lavoro da casa, guadagneremo dieci giorni in più di vita ogni anno. Si tratta almeno di un’ora al giorno di commuting per circa 230 giorni lavorativi da dedicare al proprio tempo. Molte aziende di servizi si sono accorte di funzionare perfettamente, ed in molti casi anche in modo più efficiente, usando esclusivamente il remote working. Tante imprese non avranno più un ufficio fisico dedicato, anzi, nelle zone più densamente popolate, il remote working comporterà anche una riduzione delle emissioni, con minor rischio di contrarre malattie legate all’inquinamento. Non a caso, si parla di “Homeization” per indicare la possibilità di usufruire in larga parte di quei servizi per i quali, solo qualche mese fa, vi era la necessità di recarsi in alcuni luoghi specifici. Alcune piattaforme hanno reso tutto più semplice, come il successo di Netflix che ha ridotto le entrate per i cinema, al food delivery o ai corsi online ma, a livello verticale, molto più sta cambiando per settori insospettabili, tra cui il finanziario e il bancario, che hanno messo a frutto anni di investimenti sulla digitalizzazione, finalmente operativi e a pieno regime. Un esempio è la Firma Remota, che oggi permette di apportare una sigla con validità normativa, spesso a livello europeo, anche tramite il proprio smartphone, per una semplicità e versatilità prima impensabili.

 

Lo smart working, quale futuro nel 2030?

Se la crisi scatenata dal Coronavirus ha accelerato i processi di digitalizzazione delle imprese, è l’organizzazione stessa ad essere entrata in una fase di evoluzione dalla quale non tornerà indietro. Offendo a dipendenti e collaboratori maggiore autonomia e un maggiore investimento nella vita al di fuori dall’ufficio, si costruisce un habitus slegato dal concetto di tempo e spazio, dove nessun timbro del cartellino potrà mai sostituire l’ottenimento dei risultati. Nei prossimi 10 anni, il mondo del lavoro cambierà molto più di quanto non sia cambiato negli ultimi 50: le persone potranno scegliere dove e quando lavorare; nessuno avvertirà il controllo pedissequo sulla propria quotidianità. Saremo singoli imprenditori all’interno della stessa azienda. Robot, computer e macchine svolgeranno un ruolo ancora più importante, eseguendo quei compiti manuali che oggi tolgono tempo alle scelte ragionate degli individui. In parte lo vediamo già: machine learning e IA prevedono blocchi di sistema e interruzioni operative, lasciando intervenire l’uomo solo quando necessario, se necessario, liberandolo per sforzi intellettuali maggiori, scelte strategiche migliori, supportate, non sostituite dai software predittivi. Probabilmente, nel 2030 ci guarderemo indietro e ci chiederemo come abbiamo potuto lavorare seduti ad una scrivania per otto ore, pensando solo alla fine della giornata e non al traguardo che avevamo dinanzi.

«Incremento di una cultura imprenditoriale generalizzata. Dopo la fine della pandemia, la crisi economica e la scomparsa di alcuni lavori,  incoraggeranno  forme di imprenditorialità basate sui dati e su pratiche innovative di interazione digitali. La grande maggioranza di tali attività sarà informale e sostenute anche dalla diffusione di nuove architetture di interazione (Blockchain) e di nuove monete (criptomonete)».
Massimo Di Felice, Sociologo e Professore

 

«Grazie al Remote Working molte persone recupereranno circa 10 giorni l’anno (almeno un’ora al giorno di commuting per circa 230 giorni lavorativi) da dedicare al proprio tempo libero. Molte aziende di servizi si sono accorte di funzionare perfettamente, ed in molti casi anche in modo più efficiente, usando esclusivamente il remote working. Molte aziende non avranno più un ufficio fisico dedicato. Nelle zone più densamente popolate il remote working comporta anche una riduzione delle emissioni con riduzione delle malattie legate all’inquinamento».
Gianmauro Calafiore, Imprenditore

 

«Inizialmente sarà la spinta delle persone a determinare la diffusione del lavoro da remoto, ma l’indubitabile risparmio realizzato dalle aziende sarà il motore di un cambiamento che ormai appare inarrestabile».
Daniele Manca, Giornalista