Uno dei settori maggiormente colpiti dalla pandemia è senza dubbio quello della mobilità. Non è un caso che oggi una piattaforma di videoconferenze come Zoom da sola valga di più delle 7 principali compagnie aeree messe assieme. Da un lato ci sono le organizzazioni che hanno lavorato per mappare gli impatti negativi sulla mobilità a livello globale, regionale e nazionale; dall’altro, le analisi di chi invece fa luce sugli aspetti positivi della riduzione dei viaggi. Data la portata e gli effetti diffusi della crisi sul movimento urbano, emergono varie sfide da affrontare. Prima di tutto quelle in materia di salute pubblica:  dopo la presa di coscienza che minor traffico vuol dire meno smog e particolato nell’aria, varrà davvero la pena riprendere a spostarsi come prima? E, inoltre, siamo sicuri che un eguale numero di persone salirà su treni, a breve e lunga percorrenza, metropolitane e autobus, senza preoccuparsi del rischio di contagio? Se nelle primissime fasi del post-lockdown, l’aumento dell’uso dell’auto privata non è stato avvertito poi molto (anche per il numero ancora basso di aziende tornate alla piena operatività da ufficio), prima o poi la diffidenza verso il mezzo pubblico non farà altro che incrementare il traffico e nuovamente i livelli di polveri dannose.  Ripensare oggi l’organizzazione urbana è necessario per ristabilire un nuovo rapporto con l’ambiente, quasi una chance di ripensamento, che oggi è stata data a fronte di un prezzo altissimo. 

Bisogna garantire un ambiente più sostenibile in futuro. Ci sono contesti specifici di città che hanno superato il picco con esempi specifici di progettazione urbana, col fine di impedire un ritorno all’utilizzo diffuso di auto personali, promuovendo meglio il trasporto pubblico e incentivando forme di mobilità sostenibile (come la bicicletta e i mezzi elettrici). Le metropoli italiane hanno accelerato i loro piani per fornire spazio a questo tipo di mobilità, come Milano con i suoi oltre 35 chilometri di nuove piste ciclabili nel 2020. Nel caso del quartiere berlinese di Kreuzberg, le piste ciclabili vengono introdotte come una soluzione creativa per garantire il distanziamento sociale e prevenire un aumento dell’utilizzo di automobili. Si tratta di corsie che includono l’allargamento temporaneo di due piste, per aiutare i ciclisti a mantenere la distanza necessaria di un metro e mezzo. Il progetto pilota è già stato considerato un successo perché ha migliorato la sicurezza in bicicletta senza ostacolare il traffico. 

«La mobilità delle persone si poggia su un nuovo concetto di “sicurezza”, associato anche al discorso sanitario. Questo comporterà un aumento dei controlli e una diminuzione della mobilità intercontinentale, soprattutto se non strettamente necessario»
Carlo Petrini, Gastronomo e Sociologo

A un livello superiore, stiamo assistendo a trasformazioni nella mobilità urbana che cambieranno il tessuto stesso delle città e dei movimenti per i decenni a venire. Tre aspetti che devono essere riallineati sono i trasporti pubblici, la micromobilità e il telelavoro. Il trasporto pubblico, per rimanere pertinente e tornare al suo ruolo centrale nello spostamento di milioni di passeggeri negli ambienti urbani, dovrà garantire uno spazio sociale sufficiente ed essere riconfigurato di conseguenza. La mobilità condivisa,  inclusa la micromobilità, è una componente fondamentale dell’ecosistema sociale dell’ultimo decennio ed è il motivo per cui tante città supportano il futuro del settore, per reintrodurre lo spostamento individuale gradualmente, una sorta di ri-educazione al viaggio. Infine, il lavoro in remoto farà evolvere il concetto stesso di città, con picchi di movimento del traffico alquanto differenti e conseguenza di una redistribuzione delle persone che si spostano dalla casa all’ufficio, e viceversa, in momenti diversi, man mano che si realizza sempre più lo scenario dello smart working e svanisce il senso dell’orario di punta e delle giornate lavorative.

«Eventi, scuole, spostamenti e in generale tutte le circostanze che portano a un flusso cospicuo di persone, subiranno profondi cambiamenti e molte attività verranno ridimensionate e in parte svolte con metodi alternativi (dove possibile) sfruttando il digitale»
Giorgio Metta, Scienziato e Professore

 

La fine della metropoli

Se le realtà affollate della vita urbana, come il trasporto di massa, sono particolarmente sensibili alle pandemie, è plausibile che gli anni a venire vedano una riscoperta delle periferie, con una netta deurbanizzazione delle metropoli. Chi vorrà fuggire da una città pericolosa e afflitta dai virus avrà molte opzioni a disposizione. Le nuove tecnologie rendono più facile per le aziende lavorare lontano dalle dense megalopoli e l’ulteriore impulso arrivato dal Coronavirus ha reso il processo ancora più veloce, sottolineando i pericoli degli spazi urbani affollati sia per i lavoratori che per i cittadini. Negli anni ’90 le aziende dedicavano 16 metri quadrati di spazio per nuovo dipendente, un numero che è sceso a 11 metri quadrati alla fine degli anni 2000 e a 4,5 metri quadrati oggi. Nel 2030 non ci sarà più spazio per un dipendente perché quel dipendente lavorerà da casa.

«Il confinamento a casa e lo smart working, associato ai miglioramenti nelle piattaforme di comunicazione, ridurranno nel futuro la necessità di spostamenti fisici su lunga distanza per esigenze di lavoro»
Franco Bernabè, Manager e imprenditore
La “contro-urbanizzazione” assumerà un senso sempre maggiore perché localizzarsi in città più piccole, che sono generalmente più sicure, converrà a tutti, soprattutto in ottica di risparmio economico. Sappiamo che le pandemie sono un male per le aree urbane dense, in particolare quelle relativamente libere. Ed è così fin dall’antichità. Più un sistema globale è vitale, da Roma a New York, Il Cairo, Venezia, Londra, Parigi, e più è suscettibile ai virus che si verificano regolarmente negli ultimi due decenni. Le città senza dubbio si riprenderanno, in particolare se i prezzi degli immobili continueranno a scendere, ma l’effetto “deurbanizzazione” continuerà a guidare le persone altrove