Il tragico bilancio delle vittime del Covid-19 è stato accompagnato da effetti catastrofici sull’economia mondiale. Nel marzo di quest’anno, nei soli Stati Uniti sono stati persi più posti di lavoro rispetto all’intera Grande Recessione del 2008, con il personale dotato di un’istruzione inferiore all’università che ha subito il contraccolpo maggiore. A livello globale, la perdita di posti di lavoro è stimata in oltre 200 milioni, con il 40% del personale che fa parte di quei settori ad alto rischio e con accesso limitato ai servizi sanitari di base (dove non previsti dal sistema nazionale). E sono proprio questi che dovranno affrontare le principali problematiche con l’obiettivo di riguadagnare i propri mezzi di sussistenza quando le economie avranno cominciato a riprendersi. Riconoscendo l’onere sproporzionato della pandemia sui lavoratori poco qualificati, un recente sondaggio ha rilevato che la stragrande maggioranza è preoccupata che il virus aumenterà la disuguaglianza. Il motivo è storico: molte delle epidemie del secolo scorso hanno aumentato la disparità tra i redditi e abbassato il rapporto occupazione/popolazione per gli individui con un grado di formazione basilare, ma non per i più qualificati.

«Dalla crisi si potrà uscire in due modi: con una dissoluzione del tessuto sociale e la formazione di gruppi in lotta gli uni con gli altri per accaparrarsi le poche risorse disponibili, oppure con la costruzione di una visione condivisa di futuro. Al momento la situazione è indecisa: nessuno può sapere quale delle due opzioni prevarrà. Proprio per questo motivo quello che faranno le istituzioni, le parti sociali e le aziende sarà fondamentale per far pendere la bilancia verso l’una o l’altra soluzione»
Roberto Poli, Sociologo e Professore.

 

Se già alcuni governi hanno agito per fornire un minimo supporto alle imprese, in assenza di una protezione dedicata ai segmenti più vulnerabili della società, questa pandemia potrebbe finire per esercitare un ulteriore impatto sulla disuguaglianza. Di norma, a creare nuova occupazione sono storicamente le nuove società e non quelle esistenti, che sono più che cicliche. Stimolare la nascita di innovativi business, magari fondati proprio sul come fronteggiare gli effetti del Covid-19 (distanziamento sociale, smart working, nuova mobilità), è la sfida da intraprendere. 

 

«Quando si ferma l’economia, gli ultimi restano completamente senza risorse; la povertà senza prospettive che non esisteva in Europa e in Italia era piuttosto limitata, ricomincia ad avere un peso sociale significativo; il fenomeno non è irreversibile, ma la pesantezza delle conseguenze della strategia generica del lockdown non si alleggerirà molto in fretta»
Luca De Biase, Giornalista e Professore. 

 

Il PIL globale pro capite è diminuito solo quattro volte: nel 1954, nel 1982, nel 1991 e, più recentemente, nel 2009, come conseguenza della crisi finanziaria. Gli effetti della pandemia sono già molto forti, ma probabilmente non interesseranno tutti allo stesso modo. Senza rifarsi necessariamente ai numeri, basti pensare che qualora il declino proseguisse a farsi sentire negli Stati Uniti e in Europa più che altrove, il divario tra i paesi più ricchi e quelli più poveri si ridurrebbe. Questa è la tendenza principale che ha portato alla riduzione della disuguaglianza socio-economica a inizio 1990. Quindi possiamo aspettarci uno scenario simile? Un declino delle nuove povertà, non attraverso forze “benigne” ma per la decrescita dei paesi ricchi? I filoni da seguire sono due. Il primo: a livello macro, la risposta alla domanda precedente potrebbe essere “si”. Una flessione delle economie internet di Usa ed Europa appiattirebbe il gap con paesi dal grande potenziale, finora inespresso (Colombia, Vietnam). Dall’altro, con un focus particolare alle singole realtà, è chiaro che per i motivi elencati prima, la distanza tra chi vive sotto la soglia di povertà e i più facoltosi non potrà che aumentare.

 

«Addio alla classe media e proletaria, con una perdita di dignità di ogni forma di lavoro a beneficio della indiscriminata (e spesso insensata) robotizzazione di molti processi. Conseguentemente si formeranno masse di poveri, che genereranno, per conseguenza, una rivolta civile»
Valerio Tacchini, Notaio.

 

«Aumenteranno le diseguaglianze e verranno accettate come dato di fatto con la crudezza con cui ciò è avvenuto durante il Covid dove abbiamo toccato con mano la differenza di trattamento tra vecchi e giovani, disabili e normodotati, ricchi e poveri, analfabeti digitali e geek»
Barbara Carfagna, Giornalista

 

I nuovi equilibri mondiali

 

Dal punto di vista geopolitico, il centro di gravità dell’attività economica continuerà a spostarsi verso l’Asia. Se l’Asia continua a essere la parte più dinamica dell’economia mondiale, tutti saranno naturalmente spinti in quella direzione. Dopo qualche anno di incertezza finanziaria, in termini di pura contabilità, sarà il tempo di ristabilire i vecchi equilibri che vedevano nell’Occidente una posizione relativamente di vantaggio sulle economie orientali. In un certo senso, assisteremo ad un’inversione importante della globalizzazione come la conosciamo oggi. Ciò sarà più evidente in un primo periodo, durante il quale il movimento di persone e merci sarà molto più controllato rispetto a prima, pertanto la rimozione delle restrizioni sarà difficile e costosa. E quei paesi, notoriamente dipendenti dai trend e dalla tipologia di consumo occidentale, potranno creare nuovi flussi di consumo interno, soprattutto dove questo, reso possibile dalla presenza di materie prime e dirette, non dovrà più sottostare alle logiche delle multinazionali. Una sorta di autosufficienza produttiva scardinerà le forze pre-pandemiche, disegnando un mondo al rovescio.