Un mondo abilitato digitalmente funziona per alcuni, ma non tutti. Una delle principali preoccupazioni quando si è parlato dell’app italiana per il contact tracing, Immuni, è stata quella inerente la privacy e il grado di informazioni che sarebbero state trasmesse ai server dei controllori. Del resto, nell’era della digitalizzazione pervasiva, delle big company che promettono di non vendere i nostri dati altrove, è evidente che il timore di divenire bersaglio di una qualche tipologia di “caccia all’infetto” sia alto, anche tra la popolazione meno informata dal punto di vista digitale (con il rischio di creare false supposizioni e vere e proprie bufale). In Cina, paese da cui il Covid-19 è partito, Hangzhou, una delle principali città della zona orientale, ha proposto di utilizzare un programma di tracciamento permanente, per monitorare lo stile di vita dei suoi residenti, ad esempio quanto si allenano, si ritrovano in gruppo o dormono. Funzionari locali affermano che l’app si baserebbe sulla classica idea di contact tracing, ma con un’aggregazione di big data maggiore, che finirebbe con l’ottenere molte più informazioni sensibili, ad esempio le cartelle cliniche delle persone, che vanno ben oltre gli strascichi che può lasciare il Coronavirus. Da metà febbraio 2020, chiunque prenda mezzi pubblici o entri in uffici amministrativi in Cina deve scansionare un codice QR all’ingresso, per dimostrare di non essere infetto. Su Pincong, un forum cinese incentrato su argomenti censurati, un critico ha affermato che l’app proposta ricorda troppo da vicino diverse produzioni cinematografiche e televisive, come “I, Robot”, “Blade Runner”, “Westworld” e “Black Mirror” . 

«Si svilupperanno numerosi strumenti per il monitoraggio delle attività sociali della popolazione e si dovranno affrontare tutte le complessità relative alla gestione della privacy e dei dati. Intelligenza artificiale e visione computerizzata vedranno una applicazione su larga scala senza precedenti e il dibattito pubblico si focalizzerà su questi temi mettendoli in discussione ed identificando limiti, criticità ma anche nuove prospettive di utilizzo»
Giorgio Metta, Scienziato e Professore

 

Se le democrazie continentali sono meno inclini a sistemi di controllo tout-court, app di monitoraggio, principalmente indirizzate alla salute dei cittadini, non sono del tutto estranee dal trovare un’adozione concreta anche in Europa. Già smartphone e dispositivi connessi forniscono una serie di dati che possono essere utilizzati per tenere traccia dei movimenti e delle associazioni tra individui, con vari gradi di specificità. Sebbene parte di questa sorveglianza digitale richieda agli utenti di optare per la raccolta dei dati, molti sono già nelle mani delle grandi aziende che li usano per prevedere le tendenze. Una società di termometri intelligenti sta utilizzando i dati aggregati delle temperature raccolte in casa dagli utenti, in tempo reale, per prevedere nuovi focolai di Covid-19. Dal canto suo, un colosso come Google, all’inizio del lockdown globale, ha fornito alle amministrazioni centrali i dati di spostamente delle popolazioni tramite Google Maps, proprio per aiutare a determinare dove il distanziamento sociale potesse avere delle falle. Questi sono esempi di analisi a livello di popolazione, che utilizzano informazioni più o meno sensibili che, se valutate e implementate correttamente, possono fornire importanti aiuti alla salute pubblica, proteggendo al contempo la privacy delle persone. 

Le cose inevitabilmente si complicano con il passaggio dall’analisi aggregata al monitoraggio individuale. Esistono, in linea di massima, due forme di tracciamento che vengono spinte attualmente, ognuna capace di sollevare considerazioni contrastanti. La prima riguarda il vero contact tracing, ossia la volontà di mappare i movimenti degli individui malati al fine di avvertire i contatti ignari, così che possano prendere le misure appropriate per proteggere se stessi e gli altri. Tutto ciò avviene sfruttando la tecnologia Bluetooth e un sistema di anonimizzazione degli ID, così che nessuna sappia chi delle persone che ha incontrato, volontariamente o meno, nei giorni precedente, è risultato positivo. La seconda identifica e tiene traccia, in maniera specifica, di coloro che sono risultati positivi agli anticorpi, con un lavoro più diretto degli operatori sanitari di centri e ospedali sul territorio. Questo tipo di tracciamento, già proposto in Germania e in Inghilterra, potrebbe essere utilizzato per fornire pass di immunità e consentire alle persone che non sono più a rischio di tornare al lavoro o impegnarsi socialmente. Il punto di domanda è dove vanno a finire gli elementi prelevati dagli smartphone dei cittadini. Ed è qui che l’opinione si divide, ancora una volta, tra sistema di tracciamento decentralizzato o gestito in maniera univoca dagli enti preposti. E inoltre, a differenza della Cina, qui si parla di app da installare su base volontaria e che non precludono, non per adesso almeno, l’accesso a trasporti, negozi o uffici pubblici. Ad ogni modo, questo è il tipo esatto di sorveglianza nel quale i difensori della privacy vedono una serie di problematiche in divenire. Esiste sempre il rischio che le app di tracciamento dei contatti vengano utilizzate oltre lo scopo previsto e non è difficile immaginare che alcune autorità vogliano porre oggi le fondamenta per un più stretto controllo sulle libertà individuali. 

 

Il controllo delle emozioni

Videochiamate sul telefonino, richieste di localizzazione via GPS, invio di foto con data e orario, sono solo alcuni degli scenari che avremo dinanzi quando la necessità di minimizzare il contagio delle nuove pandemie sposerà la diffusione della tecnologia. La rete di sorveglianza globale vedrà il suo fulcro in tecniche di riconoscimento facciale con cui identificare miliardi di cittadini in pochi secondi. È Orwell avvolto in Kafka all’interno di John le Carré: la sicurezza sopra ogni cosa. Avendo imparato a monitorare la temperatura corporea a distanza, così come pressione sanguigna e battito cardiaco, i governi sono arrivati a identificare le emozioni degli individui sia quando sono in ufficio che nei luoghi pubblici, ma anche quando indossano smartwatch e altri oggetti connessi. Rabbia, gioia, noia e amore sono fenomeni biologici proprio come la febbre e la tosse quindi la stessa tecnologia che identifica il Covid-19 nel 2030 sa identificare le risate o la tristezza. Una volta che le aziende hanno stretto collaborazioni con governi e organizzazioni sanitarie, possono raccogliere i dati biometrici in massa, per conoscerci meglio, predire e manipolare i nostri sentimenti, per venderci tutto ciò che vogliono, sia esso un prodotto o un politico. Il monitoraggio biometrico all’improvviso ha reso le questioni più calde dell’ultimo decennio qualcosa appartenente all’età della pietra. Quei paesi che erano autoritari lo sono diventati ancora di più, facendo indossare ad ogni cittadino un braccialetto non solo come mezzo di tracciamento fisico ma anche delle emozioni.

«Benché vi siano mille segni di resistenza all’aumento della tracciabilità, l’argomento di proteggere la società contro il Coronavirus incoraggia una tolleranza riluttante, ma probabilmente irreversibile per il controllo sociale elettronico, nonostante timori di un fascismo algoritmico e anche classico. Il blocco sarà eventualmente riconosciuto come una spinta irreversibile della datacrazia. Una volta sconfinata, la persona conserverà l’autonomia fisica, ma non quella mentale»
Derrick de Kerckhove, Sociologo e Professore

«Uno dei grandi cambiamenti è il sacrificio chiesto alle persone rispetto alla sfera intima che è e sarà violata per sempre»
Valerio Tacchini, Notaio