La “fine della globalizzazione” è già stata predetta, più di una volta, nel recente passato. Lo scoppio del Covid-19 e la rinnovata importanza data al glocalismo, sembrano aver riportato in auge il discorso. Tuttavia, molti preferiscono parlare di “post-globalizzazione”, dove l’intervento dello stato e delle strategie di nazionalizzazione si fanno più forti e presenti. Consumi, produzioni, investimenti, mirano tutti a incentivare il “marchio” interno, senza denigrare l’estero ma preferendo il paese all’oltreconfine. A un intervento statale aggressivo, alla chiusura dei confini, alla limitazione del movimento fisico, al “distanziamento sociale”, al collasso del settore dei viaggi e ad alcuni altri cambiamenti geopolitici, può rispondere semplicemente il glocal rispetto al global? Una maggiore cooperazione è la risposta adeguata, con al centro le tecnologie idonee ad adattarsi al cambiamento: dati, blockchain e IA.

 

Perché siPerché no
Alcuni sostengono che la globalizzazione abbia consentito la rapida diffusione di malattie e favorito una profonda interdipendenza tra imprese e nazioni che le rende più vulnerabili a shock imprevisti.

Quando si diceva che la globalizzazione fosse “irreversibile”, sembrava una verità inconfutabile, e invece è bastato un virus per fermare i movimenti internazionali e mostrare quali stati dipendono dagli altri. 

Il fatto che la post-globalizzazione sia stata teorizzata così spesso in passato, vuol dire che non può andare via nel giro di qualche mese e, soprattutto, non può farlo per mancanza di presupposti. 

La globalizzazione è come la modernità stessa, è insita nel modo di agire umano del nuovo millennio, dove il prodotto culturale, con tutte le sue accezioni, è a portata di mano.

Quanto in fretta le imprese usciranno dalla crisi economica dipende dalla capacità delle industrie di adattarsi alla nuova normalità. Per raggiungere questo obiettivo non bisogna puntare esclusivamente sui sovranismi ma cercare livelli di offerta differenti, come l’online.

 

«Nessuno, prima del Covid, si sognava di mettere in discussione la natura globalizzata del mondo. La fede cieca e sfrenata nella globalizzazione ci ha portati ad affidarci completamente al suo evolvere: questo virus ha fatto crollare tali basi artificiali e rendendo impossibile tornare al concetto vecchio di globalizzazione così come l’abbiamo conosciuto. Ma è stata proprio la globalizzazione ad essere concausa della pandemia e del suo diffondersi veloce e irrefrenabile, ed è per questo che non la daremo più così per scontata e ci faremo qualche domanda in più su limiti e punti di forza»
Carlo Petrini, Gastronomo e Sociologo. 

 

«La globalizzazione, nella sua accezione neoliberista, andrà per qualche tempo in stallo, sostituita da un insieme di azioni legate all’interesse particolare dei ceti politici degli stati che avranno più da spendere e più da contare nelle decisioni economiche; questo darà molto spazio alle ipotesi autoritarie anche in democrazie relativamente avanzate»
Luca De Biase, Giornalista e Professore

 

«Il virus ha spiegato chiaramente che non fa distinzioni geografiche, politiche, di genere, di status o di censo: sarà parte del sentire collettivo la consapevolezza dell’effetto butterfly, un battito di farfalla in Cina può diventare una valanga sulle Alpi. Siamo tutti connessi, questo il mondo in cui viviamo, fatico a capire il discutere sulla bontà o meno del mondo globalizzato: indietro non si torna, l’entropia dell’universo aumenta per definizione»
David Corsini, Imprenditore e Manager
Non ci sarà un cambiamento irreversibile (inteso come perenne nel tempo), perché il mondo è destinato ad essere sempre più globalizzato. La pandemia fermerà temporaneamente questo processo, ma non lo impedirà; è un’evoluzione naturale, dato dall’accorciamento delle distanze e dalla conseguente sempre maggior interconnessione/interdipendenza delle economie.
Valerio De Molli, Imprenditore e Manager
«La pandemia è arrivata in una fase in cui già si vedevano segnali di una possibile de-globalizzazione. Assisteremo probabilmente a un accrescimento delle tensioni commerciali e alla spinta alla rilocalizzazione delle filiere produttive strategiche. È ragionevole aspettarsi un ritorno di pezzi di manifattura dentro i confini nazionali, e allo stesso tempo una contrazione della quota di mercato per quelle imprese più esposte verso l’estero»
Manager società di tecnologia internazionale