In ogni esperienza di recessione, le persone riducono gli acquisti facilmente rimandabili per concentrarsi su quelli essenziali e su una forma di risparmio precauzionale in previsione di una crisi in peggioramento. Ciò che ha reso differente quanto vissuto con la fase di diffusione della pandemia di Coronavirus è che i consumatori hanno fatto a meno non solo delle spese “extra” ma anche di quelle che, comunemente, vengono considerate come praticabili pur al di fuori di momenti di benessere economico. Si stima che tra il 40 e il 60% di chi ha attuato “alternative” domestiche al tradizionale consumo fuori casa, manterrà tale approccio anche nei prossimi mesi, di fatto rallentando una risalita economica su larga scala. In Italia, così come nel resto d’Europa, le intenzioni di spesa viaggiano di pari passo con l’ottimismo che si ha nei confronti di una risoluzione della pandemia. A fronte di un acquisto sempre costante di beni quali gli alimenti, prodotti per la casa e per la cura del corpo, altri segmenti resteranno sotto la quota di spesa media nazionale per almeno un altro trimestre. Dimentichiamoci crociere, hotel, cinema, gioielli e ristoranti, mentre sigarette, giornali, palestre e benzina saliranno per gradi, anche se in forme diverse dalle attuali.

«Il commercio al dettaglio subirà l’impatto di una maggiore propensione agli acquisti online. In questo settore si verificherà anche un processo di forte concentrazione tra gli operatori. Le grandi piattaforme cresceranno a spese delle unità commerciali di minore dimensione. Ci sarà una disintermediazione del commercio al dettaglio, che avrà a sua volta serie conseguenze sociali e occupazionali»
Franco Bernabè, Manager e imprenditore

 

Abbiamo già visto come, nelle settimane di lockdown, siano state le app di delivery a sostenere, almeno in parte, il consumo degli italiani. I mesi trascorsi in isolamento e l’impossibilità di spendere a causa della chiusura dei negozi hanno ridotto la propensione al consumismo, almeno per due motivi. Il primo: avendo sperimentato concretamente i vantaggi che derivano dal privilegiare l’essenziale sul superfluo, le persone si sono concentrate solo su determinate categorie merceologiche. Il secondo: chi si era mai rivolto alle modalità di acquisto di beni e servizi digitali, ha scoperto la semplicità e la celerità con cui vengono resi possibili, con un risparmio di tempo notevole da dedicare a sé e alle proprie esigenze.  Riportare la massa dei consumatori ai livelli precedenti sarà molto difficile. Come afferma una recente indagine, il 63% degli italiani vuole ancora acquistare in un negozio ma il 68% di questi lo farà solo in massima sicurezza. I negozianti dovranno farsi trovare pronti per soddisfare i nuovi bisogni dei consumatori, puntando sul fattore umano ma anche sulle tecnologie digitali. 

 

Ci si riferisce infatti a “nuovo consumismo” quando la necessità è quella di andare oltre l’emergenza. La spesa finalizzata su piattaforme online sarà una normalità che, se in un primo momento si affiancherà all’esperienza in-store, poi diverrà principale. Molti sono ancora restii dal riprendere le attività di persona, con la voglia di continuare a usare alcune delle soluzioni digitali e low-touch che hanno adottato negli ultimi mesi. Sempre per gli analisti, gli italiani non andranno più al centro commerciale come prima, preferendo dedicare spazio e tempo ad altro e comprando solo cosa riterranno davvero necessario, soprattutto via web. È una rivoluzione? Assolutamente si.

«La pandemia ci ha fatto per la prima volta (da generazioni) scoprire che siamo sottoposti a shock non prevedibili, che portano al blocco dell’attività economica. È ragionevole prevedere un aumento della propensione al risparmio o ad investimenti prudenti e liquidi, da parte di tutte quelle categorie il cui reddito è stato bloccato dal lockdown»
Manager di società tecnologia internazionale
«La fine dell’ideologia della deregulation. Mi aspetto una maggiore disponibilità ad andare verso forme di regolamentazione del commercio (orari dei negozi, chiusura domenicale, restrizioni nei confronti delle catene commerciali e dell’e-commerce, un certo protezionismo) e del lavoro (contro il cottimo, la mobilità, il precariato, le delocalizzazioni) e verso la nazionalizzazione di settori strategici quali la sanità, i trasporti, l’educazione».
Francesco Erspamer, Professore

 

 

Che fine faranno i negozi?

 

Se fino a qualche tempo fa, la sfida digitale per i retailer era quella di offrire maggiore valore ai consumatori rispetto alla sola visita in negozio, oggi non è più così. Molto si gioca sulla paura di andare in giro, sul rischio del contagio in luoghi chiusi e affollati ma sulla voglia di spendere, che tornerà a far girare l’economia. Ed è un aspetto fondamentale quando si guarda al prossimo decennio. Non sorprende che dopo 25 anni di e-commerce, il fisico rappresenti ancora circa l’80% di tutto il commercio al dettaglio, anche se, soprattutto negli Stati Uniti, l’elettronico ha preso il volo, con più di un quarto di tutte le vendite al dettaglio nel mese di aprile 2020 condotte online (un balzo dal 16% di inizio anno). Entro il 2030, i negozi non saranno più progettati principalmente per vendere prodotti. La via principale vede l’ascesa dello showroom e degli spazi espositivi nati per essere “instagrammabili”. I rivenditori rivaluteranno le loro priorità e i modi in cui si collegano ai loro clienti e un modo sarà quello di capovolgere il concetto stesso di store, che diventerà uno spazio condiviso, un luogo per il co-working, dove il brand si fa promotore di tante iniziative, in cui la vendita è opzionale, accessoria, e non il fine unico. Già nel 2019 le grandi catene del retail stavano iniziando a chiudere a partire dall’elettronica di consumo alle librerie, il 2020 ha tirato una linea tra quello che era abitudine e quello che era necessario. Da qui a un ventennio oltre il 70% degli acquirenti farà parte della categoria tra i Millennials e la Gen Z. E’ evidente che il modo in cui spendiamo oggi non potrà essere lo stesso domani.  

 

«Il web non sostituisce il luogo fisico, ma lo integra e lo completa»
Gianroberto Casaleggio.