Il cambiamento causato dal Covid-19 lo porteremo dentro di noi ancora per un po’. Al di là dell’emergenza sanitaria, a cui i sistemi mondiali hanno dovuto rispondere celermente, vi è un’altra crisi, interna, che ha mutato modi di fare particolarmente cari agli italiani. Lo stop improvviso a strette di mano, baci e abbracci tra familiari, amici e colleghi, ha avuto un impatto devastante sulla quotidianità di tutti. I mesi vissuti in lockdown ci hanno fatto riscoprire la “qualità” dei legami digitali, ossia di quei rapporti che, notoriamente dedicati ad un livello astratto e distanziato di socialità, hanno acquisito una dimensione nuova, forse più profonda, di certo più presente. Non è chiaro cosa potrebbe accadere domani, ma il tentativo di ricreare ciò che era la vita pre-lockdown non sarà così semplice, non quanto accettare l’idea di una nuova prossemica. Per mesi abbiamo praticato l’allontanamento sociale, tenendoci ad almeno due metri di distanza l’uno dall’altro, evitando di toccare le superfici comuni e girando alla larga dalla massa. È stato difficile annullare l’esperienza di una vita di norme sociali apprese che si basano sulla fisicità, d’un tratto nascosta da una mascherina. 

«La pandemia ci ha portati a rompere le resistenze verso l’idea di una società solo digitale. Nell’equazione “distanti ma vicini” è scritta la nuova dimensione dei nostri rapporti umani: la dimensione digitale è “entrata” nelle nostre vite (perché ad essa ci siamo aggrappati). L’emergenza ci ha fatto maturare fiducia rispetto a questa nuova dimensione del quotidiano perché, a tratti, è stata l’unica. Abbiamo imparato – forse nostro malgrado – a sentirla davvero confidente»
Chiara Rostagno, Architetto e Professore

Una situazione che sarà difficile da gestire quando il contatto fisico è parte del meccanismo che utilizziamo per instaurare relazioni, amicizie e legami familiari. È l’endorfina che, dal cervello, ci fa sentire caldi e positivi. Una nuova socialità sviluppata via web può essere la risposta alla preoccupazione odierna di un eccessivo isolamento? Le relazioni possono essere ripensate in ottica digitale? Il panorama più probabile è un proseguimento di quanto è già emerso nei mesi scorsi. Gruppi di chat con decine di parenti che fino a ieri non ci consideravamo, sono improvvisamente diventati importanti, col fine di avere aggiornamenti sullo stato di salute dei conoscenti dislocati in varie regioni d’Italia, come del mondo. 

«Ci saranno, almeno per un certo periodo, più opportunità di successo per persone che fanno della razionalità e della competenza la loro forza, soprattutto se paragonate a chi predilige sfruttare doti di simpatia ed empatia personale»
Guido Silvestri, Medico e Virologo

Possibile, anzi molto probabile, che si formino delle cerchie, più o meno ampie, in cui inserire le persone a seconda del grado di intimità. Si passa così dalle chat con i “parenti” al sottogruppo di “parenti stretti” oppure “colleghi top” e così via. Più o meno la stessa divisione in gruppi sociali che si avrà quando si vorrà tornare ad una prossimità, in maniera più diretta, di persona. Cerchie interne per gli individui con cui ci sentiamo a nostro agio e disposti a toccare, ed esterne per identificare, idealmente, quelli con cui cui essere più avveduti.

«Debellato il Coronavirus, ci sarà un cambiamento di mentalità, almeno per un po’. Come tutti gli eventi fondanti, come la guerra, la pandemia ci costringe a riflettere sulla nostra gerarchia di valori, separando quelli che sono importanti da quelli che lo sono di meno o non lo sono affatto. Prevedo quindi un mutamento nei rapporti familiari e personali. Sarà l’unico fattore positivo che ci ha dato questa epidemia» Massimo Fini, Scrittore e intellettuale

Del resto, il rischio per il contatto ravvicinato non è qualcosa di nuovo, sebbene oggi si basi su eventi con maggiore evidenza sanitaria che in passato. Sin dalla prima comparsa dell’Aids, c’è stato un enorme stigma nei confronti di coloro che erano risultati positivi al virus. Molti temevano di poter contrarre l’HIV anche attraverso una stretta di mano, nonostante le prove che si trattasse di un’infezione a trasmissione sessuale. Fu in questo contesto che la principessa Diana diede la mano ad un paziente in cura al Middlesex Hospital di Londra nel 1987, nel tentativo di affrontare la paura infondata. Quella transizione non è stata facile, come non lo sarà per il Covid-19. La mancanza di un contatto fisico, che ci priva di una sensazione profondamente umana, non è la fine della società come l’abbiamo imparata a conoscere e vivere. Ridere, cantare, ballare, raccontare storie, partecipare a rituali religiosi e condivisi (seppur con le misure necessarie) non sono un surrogato ma parte della sacralità della vita che continua. Sebbene possiamo rimanere diffidenti nei confronti del contatto fisico, restare fisicamente distanti non deve significare non potersi sentire vicini.

Il nuovo senso del contatto fisico

Per decenni ci siamo rintanati in uno stato di elevata incertezza esistenziale, che ha provocato un’enorme quantità di stress. Nonostante i numeri dell’infezione siano diminuiti e annullati nel giro di un paio di anni, vivere in uno stato di confusione e preoccupazione è diventata la norma. Alcuni lavori sono scomparsi del tutto, come quelli basati sull’impegno fisico, ora nelle mani di robot e automi, mentre altri hanno preso il sopravvento, tra cui gli analisti dediti a “transitare” l’essere umano verso una inaspettata forma di normalità che diffida del prossimo. 

Nella storia umana abbiamo raramente vissuto l’impossibilità di vivere in gruppo. Questo comporta diversi effetti a catena che vanno a toccare ambiti disparati: il lavoro come il tempo libero, lo sport come la fruizione dell’arte, della musica e della cultura. Il semplice vivere in società e in comunità sarà dettato da nuove regole, in un primo momento scritte, poi la “normalità”. Questo comporterà senz’altro meno socialità e un nuovo modo di stare insieme, magari online?»
Carlo Petrini, Gastronomo e Sociologo

Eppure, distanziamento sociale, imposto allo scoppio della pandemia, ha permesso di rivedere alcune metriche che, sul finire del 2019, stavano letteralmente esplodendo senza controllo. Tra queste, l’importanza del tempo del sé e di quello dedicato agli affetti. L’essere umano non è divenuto, tutto d’un tratto, dedito interamente agli altri ma, anche a causa della paura di un nuovo contagio, l’avvicinamento fisico è divenuta un’azione con un significato più reale, umano, dal valore assoluto. C’è anche chi ha deciso di andare oltre, eliminando del tutto l’uso delle mascherine e delle protezioni in simil-plexiglass sia davanti al volto che nei locali pubblici. La vittoria sul Coronavirus ha permesso ai governi locali di riportare la vita, sulla carta almeno, alla situazione pre-pandemia, sebbene gli strascichi sociali lasciati dal Covid-19 portino ancora milioni di individui a comportarsi con estrema prudenza quando escono di casa e si trovano in luoghi dove non possono avere un controllo diretto della situazione, per la presenza di un numero di persone, ipoteticamente, vettori di malattie ancora sconosciute.

«Un certo livello di “social distancing” sarà introdotto nella vita sociale tipica dell’Italia. È possibile che un numero limitato di soggetti deciderà di indossare sempre mascherina e guanti, e questo potrebbe creare difficoltà nelle relazioni interpersonali. Saremo costretti a ripensare in questo senso molti aspetti “infrastrutturali” della nostra società»
Guido Silvestri, Medico e Virologo

«Il dopo Coronavirus porterà maggiore consapevolezza dell’esistenza dei legami e delle connessioni sociali e a una loro rivalutazione, in positivo e in negativo, determinata al tempo che siamo disposti e possiamo dedicargli. La prova dell’isolamento aiuterà a chiarire il valore dei legami nella nostra quotidianità, il loro contributo alla qualità generale della vita, porterà a un riduzione delle attività sociali ritenute superflue, compreso un utilizzo dei social media non per ragioni di comunicazione ma di socializzazione. La comunicazione pubblicitaria per esempio, si sta già muovendo in quella direzione. Ciò si salderà anche con i cambiamenti introdotti dalle nuove modalità di lavoro a distanza che si accentueranno»
Beniamino de’ Liguori Carino, Manager

«Nella storiografia abbiamo imparato a distinguere la differenza fra cronache e storia: ci è stato insegnato a separare ciò che è destinato ad essere dimenticato de quello che è destinato a rimanere nel tempo, come una testimonianza collettiva, In questi attimi abbiamo imparato la gioia elementare di sopravvivere. Solo chi è sopravvissuto ai drammi e ai traumi della storia (e della società) lo comprende. In questi termini, abbiamo appreso che anche dalla disperazione può nascere la gioia (così come dalla paura, può nascere il coraggio). Quando questo accade, quando l’esperienza collettiva quotidiana diventa un patrimonio condiviso (attinente alla realizzazione delle potenzialità del singolo e alla sua gioia) si realizza una sorta di “attimo eterno”, capace di entrare nelle biografie e di creare un legame biunivoco tra individuo e comunità».
Chiara Rostagno, Architetto e Professore